Per comprendere la storia vitivinicola del territorio è importante raccontare dello sviluppo della viticoltura della Terra d’Otranto la cui amministrazione in epoca antica raggruppava i Distretti di Lecce Taranto Gallipoli e Brindisi.
I segni e le tracce di un passato aulico della viticoltura salentina si possono rintracciare negli scritti di Antonio Ferrariis (1444-1517) detto il Galateo, il quale con un particolare riferimento a Taranto annota che “Il suo agro è il luogo dove il clima a inverni miti alterna lunghe primavere, e nei suoi vigneti inebrianti come il falerno fermentano i vini d’Aulone.
Se nei primi secoli dell’età moderna possiamo ricostruire il paesaggio agrario e le condizioni dell’agricoltura applicando una logica indiziaria sulle descrizioni e sulle relazioni di viaggio dei coevi, finalmente nei primi anni dell’ottocento siamo giunti a ragionare su dati quantitativi, tralasciando i terreni infruttiferi ai fini della produzione agricola, il vigneto con i suoi 29.781 ettari rappresenta la terza coltura più estesa dopo il seminativo e l’oliveto e occupa poco più del 4% delle superfici dell’intera Terra D’Otranto.
Assetti colturali in Terra d'Otranto nella prima metà del XIX secolo | ||
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Colture | Ettari | % |
Seminativi | 282.634 | 43,38 |
Oliveto | 102.282 | 15,70 |
Vigneto | 29.781 | 4,57 |
Erboso | 45.879 | 7,04 |
Boscoso | 19.533 | 3,00 |
Macchioso | 160.986 | 24,71 |
Paludi | 2.798 | 0,43 |
Giardini e Ficheti | 6.682 | 1,03 |
Case rustiche | 902 | 0,14 |
Totale | 651.477 | 100,00 |
Fonte: F. Casotti, Della ricchezza pubblica e privata della Terra d'Otranto: cenni statistici, Stamperia Del Vaglio, Napoli 1861, p. 10.
Assetti colturali in Terra d'Otranto nella seconda metà del XIX secolo (1878) | ||
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Colture | Ettari | % |
Seminativi | 251.100 | 34,41 |
Oliveto | 217.470 | 29,81 |
Vigneto | 74.138 | 10,16 |
Erboso | 52.999 | 7,26 |
Boscoso | 25.126 | 3,45 |
Macchioso | 60.577 | 8,30 |
Paludi | 1.336 | 0,18 |
Giardini e Ficheti | 46.115 | 6,32 |
Case rustiche | 810 | 0,11 |
Totale | 729.671 | 100,00 |
Fonte: G. Pacces, E. Canudo, E. Rossi e P. de Nava, Monografia circa lo stato di fatto dell'agricoltura e della classe agricola nei singoli circondari della provincia di Terra d'Otranto, Lecce, Tip. Scipione Ammirato, 1880, p. IV.
Non diversamente dagli altri contesti Pugliesi, anche in Terra d’Otranto si potrebbe affermare che il vigneto non rappresenta la coltura prevalente, e che come ha potuto annotare Giuseppe Poli “la presenza della vite si salda strettamente al fabbisogno del mercato locale” ed in effetti già dal XVI secolo le uve vengono coltivate per utilizzare il prodotto vino come bevanda di autosostentamento poiché gli impedimenti che il regime feudale dispiega per renderlo commerciabile fanno si che al massimo possa diventare un prodotto oggetto di una mercantilizzazione localizzata nelle aree di produzione.
All’inizio del settecento il blocco commerciale imposto da Napoleone se da un lato ha sospeso i flussi commerciali di olio con l’Inghilterra, dall’altro ha favorito lo sviluppo della viticoltura, che anche grazie all’aumento della popolazione, conoscerà una crescita che si protrarrà fino alla fine degli anni ottanta dell’ottocento, toccando la punta di 74.138 ettari vitati in epoca prefillosserica.
Registriamo che ancora oggi molte contrade in agro di Manduria ad alta densità di vigneto, confinanti con il territorio Savese siano intese come terra di Sava gestite ed abitate da sempre dai Savesi, ne sono esempi la zona della Meschinella, Archignano, Tarentini ecc a dimostrazione quindi che l’arte della vite era cosa dei Savesi e che Sava ne era sicuramente il centro più florido e virtuoso.
La viticoltura nel distretto di Taranto sperimenta un cospicuo incremento, e infatti, nel 1870 ricopre 8.548 ettari, nel 1875 passa a 11.423 e nel 1880 raggiunge addirittura i 19.767 ettari e nel 1890 subisce una contrazione derivante dalla fillossera per cui i vigneti ricoprono appena i 13.363 ettari.
Nel territorio compreso tra Taranto e la costa Ionica, Sava-Manduria e Lizzano (dopo le bonifiche delle zone paludose) ora si producono vini di alta gradazione alcolica utilizzati per tagliare i vini più leggeri. L’esportazione di questo prodotto avviene attraverso il porto di Taranto oppure mediante la linea ferroviaria che collega Taranto a Bari e Napoli.
Negli anni ottanta del XIX secolo migliorano i processi produttivi anche grazie allo sviluppo della scienza enologica, ma in seguito alla guerra commerciale scatenata dal governo Crispi contro la Francia, e con l’elevazione nel 1887 di un’imposta doganale sui prodotti agricoli Italiani, il settore vitivinicolo sperimenta una severa crisi, causata questa volta dall’abbondanza delle produzioni che non riescono a trovare acquirenti.
La ripresa dell’intera economia vitivinicola abbisognò di tempi lunghi, la fillossera comparsa nelle campagne pugliesi alla fine del XIX secolo raggiunse in Terra d’Otranto la sua massima nocività nel 1906 colpendo 115.000 ettari.
Solo dalla fine degli anni 30 del XX secolo si riesce ad arginare totalmente l’emergenza generando una vera ripresa nel 1938/1939, ma la seconda guerra mondiale fece ripiombare il comparto in una crisi pesante.
Bisognò aspettare gli anni sessanta per vedere una vera ripresa del settore, avviata però già negli anni cinquanta in comuni come Sava, che serviva i vicini comuni fin anche le zone del Barese ed oltre con i propri vini, e con l’acronimo “Vini di Sava”.
La ripresa degli anni sessanta porta ad un nuovo sviluppo della coltura nei vari comuni della futura DOC, e di Manduria in particolar modo, che in quegli anni si concentra sulle grandi produzioni di vino da taglio destinato al nord Italia ed alla Francia, si intensificano i trasporti su rotaia, e Sava che ha visto sorgere la propria Stazione ferroviaria in contrada Archignano, nel comune di Manduria, vedrà partire i suoi vini con bolla accompagnatoria con timbro del luogo di partenza, appunto Manduria, che quindi grazie alla propria e altrui produzione, guadagnerà fama e riconoscibilità.
Negli anni settanta Sava non è più il comune a maggiore superficie vitata a Primitivo, e la costruzione dell’ex ILVA contribuisce in modo drammatico all’abbandono dei campi, che sono ormai condotti da anziani contadini che mantengono viva la tradizione viticola del posto.
La nuova tendenza alle grandi produzioni di vino da vendere a basso prezzo, non risulta molto conveniente per gli agricoltori, ed induce i giovani del posto, già infatuati dalle sirene dell’industrializzazione che si rivelerà distruttrice, a relegare il lavoro dei campi ad un ruolo hobbistico, da praticare principalmente nei giorni festivi.
Nascono le grandi cantine sociali, che si dedicano alla vendita di grossi quantitativi di vino sfuso, cambiando radicalmente il concetto di viticoltura ed enologia del posto. Ora le uve non vengono più trasformate nei tantissimi palmenti ipogei dislocati per tutto il paese, ma vengono conferite presso queste grandi cantine che dovrebbero garantire un rendimento più alto e sicuro, e che poi così non faranno.
Si perde quindi quel filone evolutivo di idee a quel tempo rivoluzionarie che altri territori italiani avevano abbracciato e sviluppato, vedasi Barolo e la Toscana e che gli permetterà di far conoscere i loro vini in tutto il Mondo.
Sava ormai spoglia del suo lustro ancestrale ma non della sua fama, vede nascere anch’essa agli inizi degli anni settanta le prime bottiglie di un vino che porta il nome di “Rosso di Sava” con riferimento in etichetta al vitigno Primitivo, mentre nella vicina Manduria, si fa sempre più strada l’idea di costituire una vera e propria DOC.
Ciò che avviene è storia che conosciamo la Denominazione “Primitivo di Manduria DOC” nascerà nel 1974 ed andrà ad inglobare al suo interno l’areale Savese e i suoi vini.
Tracce del vitigno Primitivo in Puglia
Specifichiamo in questo breve racconto storico/scientifico le origini e la diffusione del vitigno Primitivo in Puglia e nel Mondo:
Durante una visita in Puglia il fito-patologo statunitense A. Goheen dell’Università di Davis (California) intravvide delle similitudini tra lo Zinfandel californiano e il Primitivo pugliese e da qui iniziarono studi e confronti sull’identità dei due vitigni (1968);
Intervennero H.K. Wolfe, H. Olmo, A. Calò finchè fu tutto chiarito definitivamente anche con analisi del DNA effettuate a Davis e presso l’ISV di Conegliano;
Assodata questa uguaglianza, dagli anni 1970-80 A. Calò riaprì il problema dell’origine di questo vitigno, dopo che su l’argomento si erano impegnati gli ampelografi dall’inizio del 1900:
- Sannino sosteneva l’ipotesi che il Primitivo derivasse da una degenerazione del Pinot di Borgogna importato dai Benedettini;
- Vi era poi l’ipotesi, subito rigettata, che il vitigno derivasse dal Cesanese laziale;
- Pulliat lo abbinava al Dolcetto piemontese;
- Calò (1987), viceversa, sulla scorta di una “minuziosa analisi storica e eno- genetica”, come definita dal Prof. Tuttel dell’Università di Los Angeles, aprì l’interesse per la ricerca verso i paesi dell’ex Impero Austro-ungarico;
Ciò avveniva dopo la consultazione di svariata letteratura sia americana (che parlava dell’introduzione di questo vitigno in California) che europea per verificare i rapporti con lo Crljenak Kaštelanski croato e portava all’ipotesi originale di una vicinanza con la Plavaz coltivata in Croazia.
Di seguito fu instaurata da Calò una collaborazione scientifica fra ISV di Conegliano e Università di Davis e vennero creati vigneti sperimentali con Primitivo, Zinfandel e varietà balcaniche come Plavaz e Plavina.
Negli anni successivi C. Meredith dell’Università di Davis prese contatti con i croati E. Maletić e J. Pejić (2001) e, senza menzionare le sopracitate indicazioni e collaborazioni, riconfermarono con analisi molecolari come Zinfandel, Primitivo e Crljenak Kaštelanski fossero 3 sinonimi di una stessa varietà proponendo di chiamarla con l’acronimo ZPC.
Si intensificarono da quel momento studi che hanno portato all’individuazione di varie sinonimie.
Nel 2008 (Calò et al.) si sancisce che il Primitivo non è sinonimo di Plavac Mali o Plavina. In particolare Plavac Mali e Zinfandel hanno una parentela di 1° grado (padre- figlio): Plavac Mali è figlio di Primitivo e Dobričić (Pejić & Maletić).
Si chiarisce (2008) anche che Primitivo, Zinfandel, Kratošija e Crljenak Kaštelanski sono tutti sinonimi.
Nel 2011 (Malenica et al.) si chiarisce che lo Zinfandel californiano assomiglia molecolarmente molto più a quello della Dalmazia (il croato Crljenak Kaštelanski) che non al Primitivo della Puglia. Sia Primitivo che Zinfandel derivano da un originario vitigno croato chiamato Tribidrag (sinonimo di Crljenak Kaštelanski) ma anche Pribridrag o Crljenak dalla comparazione con l’aDNA di un erbario.
Sulla base degli studi molecolari con differenti classi di marcatori sul Primitivo pugliese di Gioia del Colle (BA) fu possibile discriminare i vari biotipi precedentemente identificati su base fillometrica e ampelografica, ma non solo.
Nelle analisi furono inseriti cloni di Zinfandel californiano e di Primitivo provenienti dalla zona marittima di Taranto che si dimostrarono geneticamente diversi dai biotipi delle colline di Gioia (BA). Materiali di provenienza diversa risultavano quindi anche molecolarmente differenti, pur trattandosi della stessa varietà.
Fu così che si decise di analizzare materiali di Primitivo/Zinfandel partendo dalla Germania e scendendo sia per la penisola balcanica che per quella italiana al fine di vederne la vicinanza molecolare con lo Zinfandel.
In conclusione, sono stati raccolti i veri biotipi conosciuti di Primitivo nelle sue diverse sinonimie presenti nelle varie zone europee e come Zinfandel in California: tutti riconfermano l’appartenenza alla medesima varietà (profilo SSR).
L’analisi intra-varietale effettuata sull’intero genoma mediante differenti classi di marcatori molecolari (Meneghetti et al., 2012) ha permesso di distinguere in una prima suddivisione i biotipi italiani da tutti gli altri. I vari biotipi si sono raggruppati in funzione della loro provenienza.
Nella seconda suddivisione vengono distinti i biotipi di Germania da quelli di Croazia, Montenegro, Macedonia e Zinfandel californiani.
Questo ci porta a dire che:
- Il Primitivo pugliese potrebbe avere un’origine balcanica: i campioni tedeschi sono geneticamente più distanti dal Primitivo pugliese rispetto ai campioni croato- macedoni- montenegrini; è quindi plausibile che il Primitivo non sia sceso in Puglia dalla Germania ma vi sia arrivato via mare dai Balcani;
- Lo Zinfandel californiano è vicino ai biotipi della Dalmazia (e lontano dal Primitivo pugliese) e ciò conferma quanto si evince in letteratura, che lo vorrebbe introdotto negli USA da una collezione dell’Impero Austro-ungarico;
Anche queste analisi, allo stato delle conoscenze, confermerebbero la centralità della Croazia come luogo di origine di questa varietà, anche alla luce delle parentele di detto vitigno con Plavac Mali e Dobričić.
Dagli studi condotti quindi, emerge chiaramente come i 5 biotipi isolati in Agro di Gioia del Colle (Bari), si dimostrino geneticamente diversi dal biotipo isolato nella Marina di Pulsano (Taranto) e dai cloni di Zinfandel Californiano, dimostrando, che la narrazione sulla scoperta e diffusione del vitigno Primitivo in Puglia che vede attribuirne la paternità a Don Filippo Indelicati, e che lo vede diffondersi nel Tarantino arrivato da Gioia del Colle, sembri essere quantomeno romanzata.
L’Abate, isola il vitigno in Agro di Gioia del Colle nel 1780, e gli attribuisce questo sì, vista la sua precocità di maturazione, il nome di Primiticcio, che poi diventerà Primitivo, e ne impianta come riporta il Prof. Francesco Antonio Sannino in località Liponti a Gioia del Colle il primo vigneto monovarietale nel 1799. In quegli anni però, come abbiamo potuto vedere, in Terra d’Otranto, e specialmente nel Distretto di Taranto, si estendono già migliaia di ettari di vigneto di Primitivo Tarantino, che ricordiamo si distingue geneticamente da quello barese, e che Sava, ne rappresenta già il cuore pulsante della produzione, il luogo, dove grazie alle sue caratteristiche pedoclimatiche questo vitigno meglio si adatta ed esprime.
Fonti:
Alceo Salentino anno XVI n*1- 2018
Dal vino dei signori al vino contadino, dall’antico al moderno: la viticoltura di Terra d’Otranto dal XVI al XIX secolo di Salvatore Barbagallo.
- Antonio Calò (1987): Primitivo e Zinfandel: due nomi per un solo vitigno. L’enotecnico, No. 5, p. 71-76.
- Antonio Calò (2006): Ancora sulle origini del Primitivo: vitigno di probabile origine ungherese. L’enologo, No. 1, p. 87-90.
- Antonio Calò, Angelo Costacurta, Vesna Maraš, Stefano Meneghetti and Manna Crespan (2008): Molecular Correlation of Zinfandel (Primitivo) with Austrian, Croatian, and Hungarian Cultivars and Kratošija, an Additional Synonym. Am. J. Enol. Vitic., Vol. 59, No. 2, p. 205-209.
- A. Calò, G. Masi, L. Tarricone, A. Costacurta, S. Meneghetti, M. Crespan, R. Carraro (2008): Ricerche sulla variabilità del Primitivo (V. vinifera L.) in Puglia – Search for Primitivo (V. vinifera L.) variability in Apulia. Riv. Vitic. Enol. No. 1: p. 3-13.
- Stefano Meneghetti, Angelo Costacurta, Giacomo Morreale and Antonio Calò (2012): Study of Intra-Varietal Genetic Variability in Grapevine Cultivars by PCR-Derived Molecular Markers and Correlations with the Geographic Origins. Molecular Biotechnol, No. 50, p. 72–85.
- Meneghetti S., Maul E., Poljhua D., Costacurta A., Calò A.